Volo d’Angelo

Angelo Formiggini era un poeta. Un poeta e un editore.
Era nato nei pressi di Modena, nel 1878.
Si era laureato in Legge, poi in Filosofia, con una tesi sull'importanza del ridere. "Filosofia del ridere": proprio così la definiva. E poi, niente: si era innamorato di una bella e pluri-laureata pedagogista, Emilia Santamaria, e se l'era sposata. Nel 1906.
Due anni dopo, a Bologna, era nata la sua casa editrice. La Formiggini editore, per l'appunto, che aveva dato alle stampe moltissime monografie di lusso, come quella dedicata a Sandro Botticelli. Non prima, però, di aver pubblicato diversi studi su Alessandro Tassoni. Uno dei quali addirittura con la prefazione di Giovanni Pascoli, in persona.
Nel 1909, la sua casa editrice aveva iniziato a pubblicare la "Rivista di Filosofia", organo ufficiale della Società filosofica italiana. Qualche anno dopo, nel corso del dibattito tra interventisti e neutralisti del 1914, si era schierato coi primi, ed era partito in guerra pieno di entusiasmo. Lo stesso entusiasmo con cui, nel 1922, aveva lì per lì accolto la svolta fascista.
In quegli stessi anni si era messo in testa un formidabile progetto: una "Grande Enciclopedia Italica", che valorizzasse la cultura del suo amato Paese. Aveva anche messo in piedi una Fondazione, a questo scopo. Ma il suo sogno aveva incontrato l'opposizione del Ministro della Pubblica Istruzione, Giovanni Gentile. Che gli aveva tarpato le ali, salvo poi soffiargli l'idea e consegnarla, tale e quale, nelle mani di un ben più “fedele” Giovanni Treccani.
Formiggini aveva reagito secondo il suo stile, pubblicando un libello ironico in cui, per farla breve, definiva Gentile nulla più di un "bernoccolo" malauguratamente spuntato sulla testa del fascismo.
Perché, d'altra parte, il ridere era sempre stato il suo modo di affrontar la vita. E nemmeno in quella occasione aveva voluto venir meno a quel suo sorridente approccio.
Quindi, non se n'era fatto un cruccio più di tanto, e imperterrito aveva continuato a pubblicare. Diffondendo gli scritti e gli studi sempre più apprezzati della moglie, allieva di Labriola e collaboratrice di Agazzi. E dedicando le sue numerose “Medaglie” editoriali a nomi importanti della cultura e della politica del tempo. Un'impresa facile, nel caso della monografia di Prezzolini dedicata al Duce. Molto più complicata, invece, quando si era trattato di far uscire quelle intitolate a Sturzo, o a Turati. Perché i libri Formiggini, in quella circostanza, erano stati ritirati in fretta e furia da tutte le librerie.
I tempi stavano rapidamente cambiando. L’aria che tirava era sempre più fetida.
Formiggini cominciò a preoccuparsi. E quando nel 1938, si iniziò a parlar di Leggi Razziali, si ricordò di colpo di esser nato ebreo; e smise di sorridere. Nessuno gliel’aveva mai rinfacciato, fino a quel momento. Dopotutto, aveva sposato una cattolica. E questo, fin lì, era sempre bastato.
Alla fine, gli eventi precipitarono davvero. Cominciarono a circolar strani "Manifesti della Razza", si fecero liste e proscrizioni. Quasi un centinaio di docenti universitari persero la cattedra, proprio perché ebrei. Formiggini cercò disperatamente di correre ai ripari. Cambiò nome alla sua casa editrice, ne variò persino la proprietà.. Ma niente, niente. Fu tutto inutile!
Dunque la mattina del 29 novembre 1938, pochi giorni dopo l’effettiva entrata in vigore di quelle famigerate Leggi, il poeta e editore Formiggini tornò nella sua Modena. In tasca, una lettera per il Duce e una indirizzata al Re.
Pensando di liberar la sua Emilia, una volta per tutte, da un complicato problema, salì lentamente sulla Ghirlandina, la torre del Duomo. Perché lui non era solo un ebreo, non era solo un editore: era anche un poeta, accidenti!
Così si buttò giù, il bell'Angelo; precipitando nel piccolo spiazzo antistante la torre. In una rossa e densa pozza di sangue.
Oltre alle due missive, nelle sue tasche c'erano un sacco di soldi. Così, tanto per evitar dicerie del tipo: "Il Formiggini si è ammazzato per problemi economici". Ma nonostante ciò, saputo della sua morte, il Segretario del Partito Fascista Achille Starace riuscì a commentare: “Formiggini? E’ morto proprio da ebreo.
Buttandosi giù da una torre per risparmiare i soldi della pallottola”.

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