Pronti alla morte

No, non lo sono. Io non son per nulla “pronto alla morte”.

Mi sembra ancora una cosa così impossibile, così innaturale, sentirsi “pronti alla morte”. Ci sto lavorando, per carità. Qualche volta provo anche a parlarne con qualche coetaneo. Il problema è che non ottengo mai risposta. Mai. Al limite un sorrisetto un po’ malinconico. Oppure una frase di quelle che liquidano prontamente la questione, del tipo: “Cosa pretendi? Non ci si può far proprio nulla. Tanto vale non pensarci, no?”.

No. Io non ho ancora capito come ci si possa preparare alla morte. Come ci si possa “sentire” pronti a una cosa così. Ero molto più bravo prima, quando sapevo a memoria la lezioncina, e la ripetevo con zelo. Imbottito di teoria, tiravo bellamente fuori Heidegger, la questione del limite ultimo che è l’unico in grado di dar senso alla vita.. Sì, sì. Ero molto più bravo prima. Ma avevo trent’anni, cazzo. Non avevo ancora mica capito niente. Mi atteggiavo a sapiente senza aver ancora sperimentato direttamente, in prima persona, il devastante pensiero dell’abbandono, la tragedia senza fine del sentirlo, soprattutto, quell’abbandono. L’abbandono di ciò che ami, della morbida, fertile terra che calpesti ogni giorno, delle piante piene di sole e di colori, del cielo terso e smisurato. L’abbandono dei tuoi figli, o di quegli occhi che ami; di quelle poche persone, insomma, su cui hai costruito una vita intera, fatta di speranza, di fiducia, di desiderio di un domani, di un’irrefrenabile, inesauribile voglia di esserci.. Di esserci ancora. Di esserci sempre.

Ero sciocco, un saputello idiota che non aveva ancora provato la sensazione tremenda di alzar gli occhi su uno specchio e scoprirsi improvvisamente lontano, così irrimediabilmente lontano da quei sorrisi così leggeri che si spalancavano, un tempo, su un viso fresco, sano e luminoso..

No, non sono ancora in grado di dirmi pronto, a questa morte. Ci sto lavorando. Penso, scrivo, leggo molto. Sono sicuro che, con l’avanzare dell’età, tutto possa rivelarsi più facile. Ma, a dirla tutta, forse non ne ho nemmeno la certezza. Soprattutto, non so se questo pensiero mi consoli davvero, o se invece non mi scaraventi ancor più giù, in questa buia e torbida voragine di ribelle malinconia.

Ecco, proprio per questo, man mano che il tempo passa, sempre meno sopporto il sentir cantar da qualcuno che è “pronto alla morte”.. Alle mie bimbe, poi..! “Siam pronti alla morte”.. ma com’è possibile, com’è davvero possibile insegnar schifezze come questa a bambini dell’asilo, o delle scuole elementari, costringendoli a tenersi una mano sul cuore, per giunta? Su quei cuoricini così veloci e frizzanti, così assetati di vita, di gioco, di libertà! Com’è possibile imporre a quegli esserini così sorridenti, stupidaggini criminali che farneticano di elmi di Scipio, di non meglio precisate vittorie create schiave di Roma da chissà quale bellicoso Dio.. Ma di cosa stiamo parlando? Cosa vi permettete di inculcare in queste innocenti e giovani menti? Di che vittoria parliamo? E su di chi, accidenti? Giuro: io sento i brividi scorrermi addosso, ogni volta che sento le mie piccole girare per casa cantando, solenni, parole così..!

Tutti gli anni la stessa cosa. Ogni periodo come questo passa a commemorar catastrofi immani come quelle orrende e sanguinarie guerre. Come la prima guerra mondiale, per esempio. Un massacro che, man mano che ci si guarda un po’ dentro, sempre più assume i demoniaci contorni di una cosa così sporca, così immorale; di un furto di terre e di vite cominciato con un vergognoso e opportunistico tradimento! Ma di che indipendenza, di che liberazione parlate? Conquiste scellerate, ruberie inimmaginabili, razzie indiavolate, perpetrate - e a ancor oggi celebrate - col solo bieco proposito di allargar domini, di incrementar le ricchezze e il potere di pochi malvagi individui, a scapito di milioni e milioni di poveri ragazzi, massacrati spesso con le armi dei loro stessi compagni se soltanto, terrorizzati, cercavano disperati di mettersi in salvo, e di tornarsene a casa. Parliamo di milioni di giovanissime esistenze violentate, abusate senza il minimo rispetto per le madri. Senza riguardo nei confronti dei loro padri, dei loro figli, e di quella loro voglia di sole, di terra, di nuove e radiose primavere. Quel desiderio d'amore che impedisce a qualunque essere vivente di sentirsi davvero “pronto alla morte”.

No, non son pronto alla morte. E forse non lo sarò davvero mai.

Ma la promessa è una sola, probabilmente (sì, ecco: forse sì!) l'unica in grado di aiutarmi ad affrontare questa incomprensibile e malaugurata fine. La mia promessa è una sola, dicevo; ed è questa. Lottare ogni giorno, ogni istante di quelli che ancora mi restano, affinché bambini e ragazzi di tutto il mondo smettano, per sempre, di venir costretti a dirsi, e magari perfino a sentirsi, così scioccamente, così ciecamente e irresponsabilmente “pronti alla loro morte”.

 

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