Sullo sport

Il fatto che i nostri giovani si dedichino sempre più ad attività sportive e sempre meno all'Arte, alla Pittura, alla Musica ecc., risulta intimamente collegato all'impostazione fortemente competitiva così caratteristica dell'attuale, imperante mentalità capitalistica. A quella connotazione spesso esasperatamente agonistica, che allo sport viene, ormai, inevitabilmente attribuita.

I nostri ragazzi vengono esortati ad allenarsi sempre di più, a spezzarsi le ossa, ad infiammarsi tendini e muscoli, al solo fine di salir su un podio. Al solo fine di dimostrarsi al di sopra degli altri. Al di sopra di tutti. Al solo fine di esser primi.

Non si coltiva più una qualsiasi disciplina motoria o ginnica per Amore, per Passione, o anche solo per una quotidiana sfida nei confonti di se stessi e dei propri limiti. Lo si fa, potenziandola il più possibile, al solo scopo di trasformarla in strumento di affermazione di una propria superiorità. Di prevaricazione, di gloria, di vittoria.

Nello sport, così come in ogni altro angolo della nostra misera quotidianità, vengono celebrate come "qualità" atteggiamenti, di per sé moralmente riprovevoli, come la scaltrezza, l'aggressività. La "cattiveria", addirittura.

Nello sport, così come in ogni altro ambito del nostro desolato presente, quel che conta sempre più è il dato quantitativo. Il risultato numerico. La quantità dei punti, dei chili, dei metri, dei minuti, dei secondi... Il record che si riesce a stabilire come attestazione oggettiva di un proprio primato sugli altri. Di una propria supremazia certificata, condivisa e ufficializzata.

A questa generalizzata e miope dittatura del quantum, che così tanto caratterizza anche lo sport a cui si dedicano ogni giorno i nostri giovani, soltanto l'Arte (e il vero Amore) sanno ancora sottrarsi.

Non a caso, le due dimensioni più trascurate e sottovalutate di questo nostro oscuro tempo.

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