L’Alba del Grande Ritorno

Ho passato anni ed anni, come docente, a sentirmi prendere in giro quando decidevo di scioperare. "Ma sei matto? Chi te lo fa fare di rinunciare a 70 euro? Io ho famiglia. Anche tu, no?"
Quando passava la circolare in aula, i ragazzi lo sapevano già: l'indomani il loro prof non sarebbe venuto a scuola. Sarebbe stato l'unico degli insegnanti, a incrociar le braccia. Dietro le quinte, poi, le solite cattiverie. Ratto sciopera perché non ha voglia di lavorare. Ratto, anche 'sta volta, ha fatto il week end lungo... E non importava a nessuno che l'istruzione pubblica stesse cadendo a pezzi. Che fosse finita in mano alle aziende, che stesse trasformandosi nella peggior incarnazione di una burocrazia asservita ai grandi poteri economici e privata di qualsiasi portata educativa. Che stesse rinunciando definitivamente a trasmetter Cultura e sete di sapere, prostrandosi invece agli interessi di quelle stesse aziende che, ormai, la finanziavano per ottenerne in cambio "formazione". La plasmazione, ossia, dei futuri lavoratori, il più possibile adeguata ai loro standard.
Scioperare, protestare, insomma, era diventata una missione impossibile. Il modo migliore per sentirsi ridicolizzati. Ti sembrava di essere una mosca bianca. Rinunciavi a quel pezzetto di stipendio sapendo perfettamente che si trattava di un sacrificio inutile. Completamente, inutile.
Nessuno lo faceva più. Anche perché lo sciopero, diciamolo, è sempre stato visto come un patrimonio di sinistra. Di quella sinistra che altro non sa far, se non "opporsi". Che non conosce intenti propositivi, bensì sempre e soltanto "contrastivi". Risultato? Molto semplice. I pochi insegnanti “di sinistra” che, in passato, non avevano esitato a scender in piazza per contrastar lo sfascio della scuola sotto i ministeri Moratti o Gelmini, smettevano improvvisamente di protestare dal momento in cui il dicastero finiva in mano ai vari Berlinguer, De Mauro, Giannini (perché, se al potere c'era la “sinistra”, perché mai avremmo dovuto lamentarci più?), senza, per altro, che il processo di aziendalizzazione della scuola subisse alcuna minima variazione. Tanto meno, una qualche battuta d'arresto.
E tu, a quel punto, venivi isolato. Schedato (perché sul tuo certificato di servizio, la lista delle giornate di sciopero a cui, negli anni, avevi aderito si allungava in barba alla privacy) e guardato con crescente sospetto. Perché non c'era più un riferimento politico a cui collegarti. Perché mancava il quadretto in cui inserirti. L'unico appellativo possibile, insulti a parte? Contrastivo (1). Tu eri l'unico insegnante contrastivo della scuola. Senza destra, senza sinistra e mai al centro. Una scheggia impazzita. Un elemento da tenere a distanza e di cui diffidar sistematicamente.
Per anni è andata così. Per anni mi son sentito così. Fino al punto di mollare tutto. Di abbandonare il mio lavoro, i miei studenti, la mia amata cattedra, pur di sentirmi libero. Pur di non sentirmi complice.
Quello che sta accadendo oggi, finalmente, va contro tutto e tutti. Smantella completamente gli stereotipi di decenni e decenni. Scardina le certezze delle classi dominanti. Getta acqua sul fuoco di quel cinismo che, per troppi anni, ha fatto della protesta una perdita di tempo se non, addirittura - grazie alla propaganda politica e mediatica - un fastidioso capriccio di pochi lavativi ai danni dell'Italia che lavora.
Oggi decine di migliaia di persone scendono in strada non più seguendo - ma addirittura nonostante - i sindacati, prendendosi botte e insulti, ma urlando a gran voce contro le disposizioni discriminatorie e fortemente anticostituzionali di un Governo - di manager, e per i manager dell'Alta finanza - che, in nome di un virus di cui si sa ancora ben poco, e di un siero di cui si sa ancor meno, pretende di spaccare in due la popolazione nazionale, separando i “cittadini in" dai “cittadini out”.
Oggi - dopo secoli in cui destre e sinistre ci hanno raccontato la bugia del Lavoro (diritto/dovere) come ragione di vita ed essenza dell'umanità, dopo secoli di indottrinamento, di timori e paure adeguatamente inculcate dal Potere nelle nostre menti al fine di mantenerci asserviti a uno stipendio assolutamente non commisurato alla mole di lavoro che ogni giorno svolgiamo, soltanto per costringerci a foraggiare chi, sulla nostra fatica quotidiana, prospera e arricchisce - milioni di
persone trovano il coraggio di dire finalmente no a questo sfruttamento e a questo terrorismo politico e mediatico, scendendo a urlar per le loro strade e scegliendo liberamente - contro tutto e tutti, contro la convenienza, contro la comodità e contro le minacce governative - di perdere anche il proprio stipendio, piuttosto che rinunciare alla Libertà.
Oggi il Conto riparte da zero. Oggi è il gran Giorno. Oggi è l'Alba del grande Ritorno.
Oggi è il Futuro che torna ad affidarsi, docile generoso, nelle nostre forti e libere mani.

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1 Il termine era stato utilizzato durante una celebre assemblea dell'ANP, verificatasi il 4 dicembre 2015, in cui i Dirigenti Scolastici italiani, commentando la nuova Legge 107/2015, detta della Buona Scuola, in risposta alla “precarizzazione” del loro mandato - trasformatosi in incarico triennale da riconfermare da parte del MIUR soltanto a patto che ogni Dirigente si fosse dimostrato in grado di centrare, nel proprio Istituto, i vari obiettivi ministeriali - chiedevano al Governo di “Non avere le mani legate rispetto ai docenti contrastivi”. Una frase a dir poco terrificante, che avevo commentato in un mio articolo del 4 gennaio 2016 (Cfr. P. Ratto, Considerazioni su Pagina 12, Boscoceduo.it) e in merito a cui, successivamente, la stessa ANP - dopo aver fatto sparire dalla rete il “manuale” Piano Triennale dell'Offerta. I punti di attenzione (per altro ancora scaricabile qui) che, appunto nella slide 12, riportava anche la suddetta frase - aveva ritenuto di doversi giustificare, nel corso della riunione di confronto col MIUR del 23 dicembre 2015, con il seguente ragionamento: “Basterà solo il richiamo ad uno dei più noti e sperimentati strumenti logici per vagliare la validità di un’affermazione: quello che va sotto il nome di “prova ex adverso”. Cosa accadrebbe se la categoria concettuale e comportamentale della “contrastività”, cui con orgoglio si richiamano non pochi dei nostri più accesi contestatori, fosse assunta a criterio regolatore della vita delle scuole, e delle comunità in genere? O, più banalmente, degli studenti nei confronti di quegli stessi docenti?” Un’osservazione che, come risulta evidente, invece che migliorar la posizione dei nostri “Presidi”, l'affossava ancor più.

 

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