AstraCapestro

Una delle tante cose divertenti a cui stiamo assistendo in questi giorni è la “crociata”, dai toni altamente minacciosi, dell’Unione Europea nei confronti dei cosiddetti “accordi violati” da AstraZeneca. Nel mio ultimo libro Lobbying affronto la questione, a partir proprio da colui che la Commissione Europea ha scelto per trattare, l’estate scorsa, con la Federazione Europea Industrie e Associazioni Farmaceutiche, al fine di accordarsi proprio sulla questione vaccini.

Vorrei però citare alcuni punti del contratto capestro stipulato con AstraZeneca dall’UE. Punti che, tenuti presenti, danno l’idea chiara di quanto poco l’Europa adesso possa far la voce grossa nei confronti di quelle multinazionali che ha fatto di tutto per favorire. Punti su cui, per altro, si stanno concentrando le indagini del Mediatore Europeo di cui, nel suddetto libro, a lungo parlo.

Bene. Uno dei principi più evidenti che emergono da questo contratto è il seguente. Se la Commissione Europea e gli Stati membri ritardano i pagamenti delle forniture di vaccini, gli interessi di mora e l'interruzione delle stesse vengono attivati a discrezione delle società farmaceutiche. Inoltre, si noti bene, in base a quegli stessi accordi solo i pagamenti ritardati da parte della Commissione e degli Stati membri sono immediatamente punibili, a differenza dei ritardi nelle consegne da parte della multinazionale. Come sostiene Clive Douglas, avvocato e mediatore commerciale presso lo studio legale londinese Nexa Law, "In cambio della partecipazione alle spese per lo sviluppo dei vaccini e delle condizioni favorevoli offerte alle aziende, l'UE avrebbe dovuto riservarsi il diritto di negoziare per tutta la durata dei contratti, in particolare nella fase successiva all'autorizzazione all'immissione in commercio, concordando quantità e date di consegna precise, con relative penali e riduzioni di prezzo per non conformità". Cosa che, invece, non è stata fatta.

In relazione poi ai lunghi e approssimativi tempi di rifornimento fissati dall’accordo, in base ai quali le multinazionali possono concentrare le consegne in grandi blocchi (aspetto che per Massimo Florio, professore di Economia Pubblica all’Università di Milano, risulta difficile da gestire per le autorità sanitarie), Douglas aggiunge che "data l'urgenza di avere i vaccini disponibili il più rapidamente possibile, sarebbe stato preferibile un programma di distribuzione continuo con intervalli più brevi", invece che orientarsi su tempistiche lunghe come quelle previste.

Il contratto con AstraZeneca, poi, sancisce che se l'azienda può subire interruzioni di pagamento qualora non riesca a consegnare entro le date stabilite, essa ha però anche il potere di fissare e rivedere unilateralmente queste date durante l'esecuzione del contratto. "I governi hanno il diritto di interrompere i pagamenti solo per la consegna tardiva delle quantità notificate dalla società, ma non per la mancata spedizione di tutte le dosi concordate contrattualmente per un determinato mese", conclude Douglas.

Come non sottolineare, infine, che nell’accordo venga contemplato il principio secondo cui AstraZeneca è tenuta al "miglior sforzo ragionevole" per fornire agli Stati le dosi promesse. Un’espressione, questa, quanto mai "interpretabile". Che, come spiega l’avvocato inglese Marton Eorsi, non sarebbe da ritenersi valida se il contratto non fosse regolato dalla legge belga, secondo cui “se la promessa è un obbligo di risultato e il risultato non viene raggiunto, la parte che fa la promessa può sottrarsi alla responsabilità, dimostrando semplicemente che il mancato adempimento è stato causato da forza maggiore”.

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